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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-01-02

Mafia, tolto l'isolamento diurno al boss Giuseppe Graviano

Sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera. Al processo Dell'Utri lamentò uno stato di salute precario

I familiari delle vittime di via georgofili ad alfano:

"È scandaloso"

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Dalessandro Giacomo

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2010-01-02

1 Gennaio 2010

GIUSTIZIA

Mafia, alleggerito a Graviano

il regime di isolamento duro

Il boss mafioso Giuseppe Graviano, che sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera, ha ottenuto la revoca dell'isolamento diurno. Graviano continua, comunque, a essere sottoposto al regime carcerario del 41 bis. La decisione è della terza sezione della Corte d'assise d'appello di Palermo ed è motivata con il superamento del tetto massimo dei tre anni previsto dalla legge, dato che il boss è in cella dal 27 gennaio del 1994 e che l'isolamento gli è stato dato più volte durante la sua reclusione. Graviano continua ad essere regolarmente sottoposto al regime di carcere duro del 41 bis, che è cosa ben diversa dall'isolamento diurno, previsto per chiunque abbia condanne all'ergastolo (anche se non legate a fatti di mafia) e che vieta solo di avere contatti con altri detenuti durante il giorno.

Il cosiddetto 41 bis è invece la particolare situazione cui sono sottoposti i boss detenuti, per impedire

loro di avere contatti con l'esterno. Tra le imposizioni ai capi di Cosa Nostra il vetro blindato per parlare con i parenti, l'impossibilità di toccare i figli minorenni, la limitazione nelle visite e nei colloqui anche con gli avvocati, la censura sulla posta e limiti anche nei pacchi da e verso l'esterno. Il 41 bis è tra l'altro illimitato e non sottoposto al tetto massimo dei tre anni.

Con la revoca dell'isolamento diurno Graviano potrà fare la cosiddetta socializzazione e non restare da solo di giorno. L'udienza per la revoca si era tenuta il 16 dicembre e la decisione del collegio presieduto da Adalberto Battaglia, a latere Alfredo Montalto, era stata presa subito dopo Natale. La notizia era stata pubblicata tre giorni fa dal Giornale di Sicilia.

Giuseppe Graviano, capomafia di Brancaccio, è stato condannato all'ergastolo come organmizzatore delle stragi del '93 a Roma, Firenze e Milano, dov'era stato arrestato assieme al fratello Filippo. L'11

dicembre scorso entrambi erano apparsi, collegati in videoconferenza, davanti alla Corte di Appello di Palermo che sta processando per concorso esterno in associazione mafiosa il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni. I due Graviano erano stati citati per confermare le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sui loro presunti rapporti con il senatore. Filippo Graviano aveva seccamente smentito Spatuzza, mentre Giuseppe Graviano si era avvalso della facoltà di non rispondere, lamentando di non essere in grado di sostenere un interrogatorio a causa dei suoi problemi

di salute.

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-01-02

I familiari delle vittime di via georgofili ad alfano: "È scandaloso"

Mafia, tolto l'isolamento diurno

al boss Giuseppe Graviano

Sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera. Al processo Dell'Utri lamentò uno stato di salute precario

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Processo Dell'Utri, Spatuzza in aula: "Graviano mi parlò di Berlusconi" (4 dicembre 2009)

Giuseppe Graviano

Giuseppe Graviano

PALERMO - Il boss mafioso Giuseppe Graviano, che sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera, ha ottenuto la revoca dell'isolamento diurno. Graviano continua, comunque, a essere sottoposto al regime carcerario del 41 bis. La decisione è della terza sezione della Corte d'assise d'appello di Palermo ed è motivata con il superamento del tetto massimo dei tre anni previsto dalla legge, dato che il boss è in cella dal 27 gennaio del 1994 e che l'isolamento gli è stato dato più volte durante la sua reclusione. "I magistrati - dice l'avvocato Gaetamo Giacobbe - hanno applicato la norma che stabilisce un tetto massimo per il carcere duro. Cumulati i periodi di detenzione diurna trascorsi al 41 bis, si è arrivati al tetto di tre anni previsto dalla legge". Graviano continua ad essere regolarmente sottoposto al regime di carcere duro del 41 bis (tra le imposizioni ai capi di Cosa Nostra il vetro blindato per parlare con i parenti, l'impossibilità di toccare i figli minorenni, la limitazione nelle visite e nei colloqui anche con gli avvocati, la censura sulla posta e limiti anche nei pacchi da e verso l'esterno), ma potrà avere contatti con altri detenuti durante il giorno. Il 41 bis è tra l'altro illimitato e non sottoposto al tetto massimo dei tre anni.

IL PROCESSO - Graviano, capomafia di Brancaccio, è stato condannato all'ergastolo come organizzatore delle stragi del '93 a Roma, Firenze e Milano, dov'era stato arrestato assieme al fratello Filippo. L'11 dicembre scorso entrambi erano apparsi, collegati in videoconferenza, davanti alla Corte di Appello di Palermo che sta processando per concorso esterno in associazione mafiosa il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni. I due Graviano erano stati citati per confermare le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sui loro presunti rapporti con il senatore. Sempre secondo Spatuzza, Giuseppe Graviano avrebbe detto nel '94 di avere tra i referenti politici anche l'attuale premier Silvio Berlusconi. Filippo Graviano aveva seccamente smentito Spatuzza, mentre Giuseppe si era avvalso della facoltà di non rispondere, lamentando di non essere in grado di sostenere un interrogatorio a causa dei suoi problemi di salute.

FAMILIARI VITTIME - "È scandaloso che in questo clima di buonismo a buon mercato, a Graviano sia stato fatto un regalo di Natale" afferma Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, riferendosi al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Ministro, butti via le chiavi per il mafioso che ci ha rovinato la vita ammazzando i nostri figli - dice Maggiani Cheli -. Siamo pronti a mettere le tende con striscioni di protesta in via dei Georgofili". Poi, rivolgendosi al ministro degli Interni, chiede se "i falsi attentati sparsi in giro in questi giorni natalizi non fossero il ricatto della mafia per l'annullamento del 41 bis".

DI PIETRO - Duro anche il commento di Antonio Di Pietro. "Se il buongiorno si vede dal mattino - afferma il leader dell'Italia dei Valori - "mala tempora currunt". Il nuovo anno non inizia bene. La revoca dell’isolamento diurno al mafioso Graviano è un segnale inquietante che non aiuta certo la credibilità della giustizia. Tra l'altro ciò avviene pochi giorni dopo il silenzio omertoso del boss e, al di là delle intenzioni, rischia di apparire come una ricompensa" conclude Di Pietro.

IL PD - La capogruppo del Pd nella Commissione Antimafia, Laura Garavini, chiede di acquisire gli atti per "capire esattamente il tipo di provvedimento che ha preso la Corte d'Appello di Palermo e le sue motivazioni. Non vorremmo - continua - che nel sistema del 41 bis si fosse aperta una falla come già avvenuto nel 2005. Quello che deve essere chiaro è che nessun baratto è possibile con i boss mafiosi, l'unica cosa che possono fare è collaborare pienamente con la giustizia. Giuseppe Graviano ha avuto questa possibilità diverse volte e l'ha sempre rifiutata, per questo bisogna continuare a mantenere il massimo del controllo sulla sua attività in carcere".

01 gennaio 2010

 

 

 

 

 

il processo a palermo contro il senatore pdl

Graviano: "Mai conosciuto Dell'Utri"

E smentisce il pentito Spatuzza

Filippo Graviano e Lo Nigro negano la presunta trattativa Stato-mafia. Berlusconi: "Siamo alle comiche"

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Marcello Dell'Utri (Ansa)

Marcello Dell'Utri (Ansa)

MILANO - "Non ho mai conosciuto il senatore Dell'Utri né direttamente né indirettamente e quindi non ho mai avuto rapporti con lui". Filippo Graviano, collegato in videoconferenza con l'aula di Palermo dove si svolge il processo al senatore del Pdl, sceglie di rispondere ai giudici e fa segnare un punto alla difesa di Dell'Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. L'ex boss di Brancaccio smentisce inoltre il pentito di mafia Gaspare Spatuzza sul loro colloquio del 2004 e sulla presunta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra. Anche Cosimo Lo Nigro non conferma quanto riportato dal collaborante. La settimana scorsa, a Torino, Spatuzza ha indicato i Graviano come le fonti di tutte le sue informazioni sul presunto legame tra Silvio Berlusconi e Dell'Utri con gli ambienti mafiosi. "E che vi devo dire...? Ci sono state delle comiche" è stato il commento a caldo del premier alle dichiarazioni di Filippo Graviano. "Che vi aspettavate? Sono tutte chiacchiere, tutte falsità" ha aggiunto il capo del governo sorridendo ai giornalisti. La deposizione di Graviano, secondo il presidente della Camera Gianfranco Fini, "dimostra che occorre avere fiducia nella volontà e nella capacità della magistratura di accertare la verità". "Spatuzza è un pentito e Graviano no - è il parere di Massimo D'Alema -. Certo, spetta ai magistrati accertare il pentimento ma se un pentito fa una rivelazione sul capo mafia è difficile che l'altro lo confermi" ha aggiunto l'ex ministro.

"MAI DETTO DI ASPETTARMI AIUTI" - Nel corso di una conversazione tra l'ergastolano Filippo Graviano e Spatuzza, avvenuta nel 2004 a Tolmezzo, il boss di Brancaccio, secondo il pentito di mafia, avrebbe detto: "Se non arriva nulla da dove deve arrivare possiamo pensare a parlare con i magistrati ma prima dobbiamo parlarne con mio fratello Giuseppe". Ma Filippo Graviano nega. "Non ho mai detto quelle cose a Spatuzza". L'ergastolano smentisce di aver detto a Spatuzza di aspettarsi degli "aiuti" come presupposto per l'inzio di una collaborazione Stato-mafia. "Se ci fosse stata una vendetta da consumare non avrei aspettato tanto... Non è che abito in un hotel" ha spiegato Graviano ai giudici di Palermo, spiegando come da parte sua non c'è mai stata l'intenzione di rivalersi su presunti torti subiti per promesse non mantenute. L'ex boss di Brancaccio ha sottolineato come "nel '94 (periodo in cui, secondo Spatuzza, i Graviano avrebbero avuto assicurazioni da settori della politica ndr) non c'era nessuno che doveva farmi promesse, perché io all'epoca dovevo scontare solo quattro mesi di carcere. Perchè avrei dovuto chiedere aiuto?".

GIUSEPPE GRAVIANO NON RISPONDE - A differenza del fratello Filippo, il boss Giuseppe Graviano, citato come teste, si è avvalso della facoltà di non rispondere. "Il mio stato di salute - ha detto - non mi consente di rispondere all'interrogatorio. Quando potrò informerò la Corte".

LO NIGRO - "Non sono mai stato a Campofelice di Roccella e i Graviano li ho conosciuti solo in carcere" ha detto invece Cosimo Lo Nigro, accettando di deporre. Anche Lo Nigro, l'ultimo teste sentito venerdì, ha smentito dunque quanto riferito da Spatuzza che ha raccontato di avere partecipato, alla fine del '93, a un incontro con Giuseppe Graviano e Cosimo Lo Nigro nel corso del quale il capomafia di Brancaccio gli avrebbe detto che era necessario fare l'attentato contro i carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma "così chi si deve dare una mossa, se la dà". Frase che il pentito interpretò come riferita a una trattativa in corso tra la mafia e una parte della politica che, proprio un nuovo eccidio, avrebbe dovuto accelerare.

"MERAVIGLIATO DALLA SUA DIGNITÀ" - "Da dieci anni ho messo la legalità al primo posto nella scala dei miei valori" ha anche detto Filippo Graviano. Parole che hanno colpito molto Dell'Utri. "Sono meravigliato della dignità e della compostezza di questo signore. Nel guardarlo ho avuto l'impressione di dignità da parte di uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze" ha spiegato il senatore, dopo la conclusione della deposizione del boss. "A differenza dell'impressione che mi ha fatto Spatuzza, mi è parso di vedere dalle parole di Filippo Graviano il segno di un percorso di ravvedimento" ha aggiunto Dell'Utri. "Una grande attesa, e oggi tutto questo si è sgonfiato si è annullato - ha detto poi il senatore del Pdl nel corso de Il Fatto del giorno-. È rimasto lo sputtanamento del Paese, dell'Italia, del governo, il tentativo di coinvolgere Berlusconi in una cosa indegna".

"BURATTINAIO" - Alla domanda se dietro i suoi processi abbia intravisto una regia, Dell'Utri ha replicato di credere all'esistenza di un burattinaio. Chi è? Gli è stato chiesto. "Non sono in grado di fare nomi e cognomi - ha detto il senatore - ma certo è che c'è un circuito mediatico-giudiziario che cerca di mistificare le cose. Ci sono dei pm che dichiarano apertamente le loro intenzioni: buttare giù Berlusconi e il governo, in combutta con certa informazione".

ATTACCO AD ANNOZERO - In una pausa dell'udienza di Palermo, prima della deposizione dei Graviano, Dell'Utri aveva attaccato duramente Annozero di Santoro. "È scandaloso quello che è stato fatto" ha detto il senatore, attaccando in particolare l'intervento di Marco Travaglio su Vittorio Mangano andato in onda giovedì sera. "Sono stanco: dopo 15 anni, lo dico, sono stanco, sinora ho cercato di stare relativamente tranquillo ma ora sono proprio stanco" ha detto il senatore Pdl. "Oggi i processi li fanno in televisione e sono finito in un circuito mediatico. Chiedo ai giudici di essere giudicato subito, finiamola con questa storia". A proposito della puntata di Annozero Dell’Utri ha anche annunciato di aver preparato "un esposto formale contro il programma di ieri che è da paese incivile". "Il processo stava per finire - ha ricordato poi il senatore del Pdl - quando ci hanno buttato dentro tutta questa spazzatura che fa perdere solo tempo". Poi un nuovo affondo su Annozero: "Hanno detto tutte cazzate. Le date della vicenda relativa all'arresto di Mangano erano tutte sbagliate".

LA DIFESA CONTESTA I PM DI FIRENZE - Al Palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano i legali di Dell'Utri hanno contestato, all'inizio dell'udienza, la scelta dei pm di Firenze che nei giorni successivi alla deposizione di Spatuzza a Torino, avrebbero interrogato in carcere i boss Graviano.

"Denunciamo questa condotta della Procura che riteniamo inopportuna e priva di riguardo nei confronti della Corte" hanno detto gli avvocati di Dell'Utri.

 

11 dicembre 2009(ultima modifica: 12 dicembre 2009)

 

 

 

 

 

 

MAFIA / LE CARTE

"Graviano ordinava omicidi dal tribunale"

Spatuzza e i messaggi di morte del boss Giuseppe, oggi testimone con il fratello Filippo al processo Dell'Utri

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Processo Dell'Utri, Spatuzza in aula: "Graviano mi parlò di Berlusconi" (4 dicembre 2009)

Dal nostro inviato Giovanni Bianconi

PALERMO - "In quel perio­do noi eravamo in guerra tota­le, sia con lo Stato sia con altre cose", ricorda Gaspare Spatuz­za, il pentito che ha indicato in Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri i referenti politici dei fratelli stragisti Filippo e Giu­seppe Graviano. Ma non parla solo di "nomi eccellenti", il neo-collaboratore di giustizia. Nei suoi interrogatori si dilun­ga anche sulla bassa macelleria mafiosa, decine e decine di omicidi progettati e commessi tra la fine degli anni 80 e i pri­mi 90. Molto spesso su ordine dei suoi capi: i Graviano, chia­mati per oggi al processo d’ap­pello contro il senatore Del­­l’Utri (già condannato in primo grado per concorso in associa­zione mafiosa) a dire la loro sui presunti rapporti col parlamen­tare e la sua area politica riferi­ti da Spatuzza.

In almeno un’occasione - racconta il killer da "una qua­rantina di omicidi e 6-7 stragi" in un verbale del luglio 2008, quando ancora non s’era deci­so a svelare le "relazioni istitu­zionali " di Cosa Nostra, come ha fatto un anno più tardi - Giuseppe Graviano diede man­dato di uccidere dopo il suo ar­resto, avvenuto a Milano il 27 gennaio 1994. Approfittava dei processi in corso per trasmette­re ordini e messaggi di morte, come capitò - secondo Spatuz­za - per l’uccisione di tale Ar­mando Vitale: "Lui e un altro ragazzo, non so come si chia­ma, avevano espresso dopo l’ar­resto dei Graviano pensieri di felicità, quindi dal carcere Giu­seppe Graviano manda a dire che si devono uccidere". Lo fe­ce da una gabbia del tribunale, dove lo portavano per le udien­ze: "Loro avevano i processi, quindi tramite le aule di giusti­zia mandavano i messaggi. Il nostro canale era, per questo evento, Giuseppe Battaglia", uno che aveva il figlio imputa­to nello stesso dibattimento e dunque aveva un buon motivo per presentarsi in aula.

Spatuzza era contrario all’ese­cuzione, dice oggi, perché cono­sceva le persone da uccidere, ma il suo capo insisteva: "Alla fine ha mandato a dire 'O lo fa­te voi o lo faccio fare ad altri', e a quel punto, se non lo faccia­mo noi lo fanno altri... Però que­sto non c’entrava...". L’altro ra­gazzo, "grazie a Dio", non fu uc­ciso, mentre non si salvò Gian­matteo Sole, che i corleonesi ri­tenevano sapesse qualcosa del progetto di sequestrare i figli di Totò Riina. Anche a questo de­litto partecipò Spatuzza: "Que­sto ragazzo che non c’entrava niente di niente, un’animella, un ragazzino veramente pane e acqua". Ma sua sorella era fi­danzata con un figlio di Gaeta­no Grado, uno degli esponenti della fazione anti-Riina, e lo ra­pirono per farsi dire cose che non sapeva: "L’abbiamo seque­strato assieme a Bagarella. E’ stato portato a San Lorenzo, è stato interrogato ma quello ri­deva perché ci siamo spacciati per poliziotti all’inizio, perciò quando ha capito questo che non eravamo poliziotti ci sem­brava uno scherzo, e quello ri­deva. E io dicevo 'ma è stupido questo? Messo in una posizione così grave...'. Quello veramen­te ci pareva che stavamo scher­zando, perché era una persona al di fuori di ogni cosa... Poi è stato strangolato ed è stato but­tato a Carini".

Esecuzioni spietate, decreta­te per motivi a volte falsi. Come quando il boss Pasquale Di Filip­po - mafioso del mandamento guidato dai Graviano, uno che "soffriva di protagonismo", di­ce Spatuzza - riferì che un tuni­sino insultava sua moglie. E scattò la condanna a morte: "Si organizza che si deve sequestra­re questo ragazzo, ma disgrazia­tamente è assieme ad un altro tunisino che non c’entra niente. Quindi sono stati portati tutti e due a Villabate dove avevamo un magazzino in affitto. Uno è stato ucciso subito, quello che non c’entrava niente, l’altro in­vece è stato interrogato". An­che lui, secondo il pentito, non aveva fatto nulla, ma ormai la sua fine era segnata: "Dice 'si deve evirare', quindi è stato evirato e gli è stato messo questo coso in bocca, sono stati legati e li abbiamo butta­ti in mezzo alla strada".

Per molti di questi delitti, di cui avevano parlato altri pentiti, Gaspare Spatuz­za era già stato condannato; per altri era stato assolto, e lui stesso ora corregge quei verdet­ti. Raccontando la "mattanza" mafiosa interna ed esterna al­l’organizzazione, stragi com­prese. E da subito, prima anco­ra di fare i "nomi eccellenti", ha rivelato di quando Giusep­pe Graviano, tra un ordine di ammazzare e l’altro, gli spiegò che bisognava continuare a mettere bombe perché "lui ne capiva di politica, e c’era in pie­di una situazione che se anda­va a buon fine ne avremo tutti dei benefici". Oggi toccherà agli stessi Graviano fornire la loro versione su quelle confi­denze, se lo vorranno e con le parole che sceglieranno.

 

11 dicembre 2009

 

 

 

 

Il senatore pdl: "la mafia vuole far cadere un governo che lotta contro i clan"

Processo Dell'Utri, Spatuzza in aula:

"Graviano mi parlò di Berlusconi"

Il pentito nel bunker di Torino: "Il boss disse che grazie a quello di Canale 5 ci eravamo messi il paese tra le mani"

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Cineoperatori e fotografi in un'aula del tribunale di Torino (Ansa)

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MILANO - "Ho fatto parte dagli anni Ottanta al Duemila di un'associazione terroristico-mafiosa denominata Cosa Nostra. Dico terroristica per quello che mi consta personalmente, perché dopo gli attentati di via D'Amelio e Capaci, ci siamo spinti oltre, come l'attentato al dottor Costanzo (Maurizio ndr) e quello a Firenze dove morì la piccola Nadia". Gaspare Spatuzza entra in aula pochi minuti prima di mezzogiorno. Il pentito di mafia, protetto da due paraventi, depone a Torino al processo d'appello per concorso in associazione mafiosa nei confronti di Marcello Dell'Utri, condannato a nove anni in primo grado, presentandosi come uno che è stato "condannato per sei o sette stragi e circa una quarantina di omicidi". Un intervento molto atteso, il suo, alla luce delle precedenti dichiarazioni rese davanti ai pm (l'ex mafioso ha descritto il senatore del Pdl e il premier, Silvio Berlusconi, come interlocutori di Cosa Nostra).

LE LETTERE - Spatuzza racconta che prima degli attentati del '93 (a Roma nella Chiesa di San Giovanni in Laterano, al Verano e a Milano ai giardini di via Palestro) imbucò cinque lettere, alcune delle quali indirizzate a testate giornalistiche. "Queste lettere - prosegue - provenivano dal boss Giuseppe Graviano. Il fatto che prima di fare un attentato mi dicessero di informare qualcuno con delle lettere è un'anomalia che mi ha fatto capire che c'era qualcosa sul versante politico". Nell'incontro di fine '93 a Campo Felice di Roccella con Graviano, Spatuzza - stando al suo racconto - riceve l'ordine di compiere un attentato "in cui moriranno un bel po' di carabinieri". Il fallito attentato allo stadio Olimpico "doveva essere il colpo di grazia" afferma Spatuzza. E poi: "Dissi a Graviano che ci stavamo portando un po' di morti che non ci appartenevano, ma lui mi disse che era bene che ci portassimo dietro questi morti, così 'chi si deve muovere si dà una mossa'". Spatuzza spiega: "Vigliaccatamente (così nella deposizione, ndr) Cosa Nostra ha gioito per Capaci e via D'Amelio. Perché erano i principali nemici nostri. Capaci ci appartiene, via D'Amelio ci appartiene - afferma - ma tutto il resto non ci appartiene". Come fallì l'attentato all'Olimpico? "Io e Benigno (altro mafioso, ndr) eravamo a Monte Mario. Benigno dà l'impulso al telecomando ma non funziona e l'attentato non avviene. Poi quando i carabinieri si erano già distanziati io gli dissi di fermarsi, di non dare più l'impulso. Scendiamo con la moto, ma l'attentato in sostanza era fallito".

IL NOME DI BERLUSCONI - Poi Spatuzza afferma: "Nel '94 incontrai Giuseppe Graviano in un bar in Via Veneto, aveva un atteggiamento gioioso, ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro "crasti" socialisti che avevano preso i voti nel 1988 e 1989 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vennero fatti due nomi tra cui quello di Berlusconi. Io chiesi se era quello di Canale 5 e mi disse: sì. C'era pure un altro nostro paesano. Graviano disse che grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo il paese nelle mani". Successivamente Spatuzza si trovò nel carcere di Tolmezzo con Filippo Graviano: "Nel 2004 lui stava malissimo, io gli parlavo dei nostri figli, di non fargli fare la nostra fine... ho avuto la sensazione che stava crollando. Mi disse di far sapere a suo fratello Giuseppe che se non arrivava qualcosa da dove doveva arrivare, allora bisognava parlare ai magistrati". Il pm chiede spiegazioni sulla frase "da dove doveva arrivare" e qui Spatuzza ritorna al riferimento di Berlusconi e Dell'Utri. "I timori di parlare del presidente del Consiglio erano e sono tanti - continua Spatuzza. - Basta vedere che quando ho cominciato a rendere i colloqui investigativi con i pm mi trovavo Berlusconi primo ministro e come ministro della Giustizia uno che consideravo un 'vice' del primo ministro e di Marcello Dell'Utri".

Ascolta il processo in diretta (in collaborazione con Radio Radicale)

DISSOCIAZIONE - Spatuzza ripercorre poi la scelta di dissociarsi da Cosa Nostra. "Nel 2000 ho iniziato un bellissimo percorso di istruzione e isolamento". Il pentito ricorda "il cappellano del carcere di Ascoli Piceno, padre Pietro Capoccia" come l'incontro chiave della sua svolta che gli trasmise "l'amore per le sacre scritture". "Mi trovai di fronte al bivio di essere o uomo di Dio o mammone: ho deciso di amare Dio" afferma Spatuzza che poi indica nel procuratore antimafia Pietro Grasso la persona che ha dato un contributo fondamentale alla sua decisione definitiva di collaborare con la giustizia "nel marzo 2006". "Non sono qui per barattare le mie parole, sarei un vigliacco - aggiunge - lo Stato sa cosa deve fare della mia persona. La mia missione è restituire verità alla storia e non mi fermerò di fronte a niente. Se ho messo la mia vita nelle mani del male, perché non la devo perdere per il bene?".

IL CONTROINTERROGATORIO - Terminato l'interrogatorio del procuratore generale Gatto, l’udienza è stata sospesa per circa un’ora ed è ricominciata dopo le 15 con il controinterrogatorio della difesa. "Dopo l'ammissione al programma pentiti ho deciso di togliere gli omissis sulle stragi del '92 e '93" ha detto il pentito rispondendo alle domande dell'avvocato dell'imputato, che gli faceva notare che prima del giugno 2009, interrogato dai pm di diverse Procure italiane, non aveva mai indicato Berlusconi e Dell'Utri come i referenti di Cosa Nostra. Spatuzza ha spiegato di non aver "mai chiesto nulla in cambio allo Stato" e di aver "riferito quello che sapevo su Berlusconi e Dell'Utri solo il 16 giugno del 2009 ai magistrati di Firenze perché, prima - ammette - temevo che si potesse dire che tiravo in ballo i politici per accreditarmi come pentito".

"UN PETARDO" - Le accuse di Spatuzza sono "un petardo", non "una bomba atomica", aveva detto in precedenza, l'avvocato di Dell'Utri, Nino Mormino, con un evidente riferimento alla frase pronunciata dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante un fuorionda. Prima dell'avvio dell'udienza, aveva parlato invece il Pg della Corte d'Appello di Palermo, Antonino Gatto, secondo il quale "si sta enfatizzando troppo qualcosa che ha un certo rilievo ma non così eccessivo". "Tutto questo toglie serenità" aveva aggiunto il magistrato.

Spatuzza in aula

Spatuzza in aula Spatuzza in aula Spatuzza in aula Spatuzza in aula Spatuzza in aula Spatuzza in aula Spatuzza in aula

LA REAZIONE DI DELL'UTRI - Parla anche Dell'Utri: "La mafia - afferma il senatore durante una pausa del processo - ha interesse a buttare giù un governo che lotta contro" i clan. "Sono dati oggettivi - dice - c'è stato il massimo dei latitanti catturati, il massimo dei beni sequestrati, il massimo delle pene severe contro i condannati per mafia. Spatuzza è un pentito della mafia, non dell'antimafia. Ma io sono sereno. L'unica cosa che è incredibile e assurda è che mi sento come a teatro dove c'è un protagonista 'povero Marcello' ma non sono io, è un altro. Di fronte a queste accuse una persona normale o impazzisce o si spara. Io non sono normale, e non mi sparo". "I Graviano? Non li ho mai conosciuti, io non conosco nessuno" ribadisce Dell'Utri. "Provenzano? Sta scherzando. Io conoscevo Vittorio Mangano, punto e basta". Il senatore del Pdl nega di avere ricevuto messaggi mafiosi: "Ma quali messaggi? Le dichiarazioni di Ciancimino mi fanno ridere...". E poi: "La mafia ha votato per noi? Che ne so, può essere; d'altronde in passato aveva votato anche per Orlando. Purtroppo non gli hanno ancora tolto il diritto di voto. Fino a quando qualcuno non gli impedisce di votare, ciò che fanno non è controllabile". "Uno come Spatuzza Falcone l'avrebbe denunciato" ha detto poi Dell'Utri al termine della deposizione del pentito, spiegando di non essere affatto sorpreso dalle rivelazioni in aula dell'ex uomo di Cosa Nostra. "Non ha detto nulla di più o di meno di quello che aveva già riferito ai pm" ha spiegato Dell'Utri. "Il suo obiettivo - ha ribadito - è fare cadere il governo Berlusconi, non ci sono altre spiegazioni". Ai giornalisti che gli chiedevano se riteneva che dietro al collaboratore ci fosse qualcuno, Dell'Utri ha risposto: "Non lo so. Ci saranno i pm".

BATTIBECCO CON UNA GIORNALISTA - Battibecco tra il senatore Pdl e una giornalista de Il fatto quotidiano e di Radio Popolare, Antonella Mascali. "Il signor Mangano è stato eroico. Lo ripeto e-ro-i-co. Vuole che glielo ripeta ancora?" ha detto Dell'Utri, utilizzando nei confronti della giornalista un'espressione risentita: "Ma che c... dice lei?". Motivo della notevole arrabbiatura dell'imputato di concorso esterno sono state le domande su Vittorio Mangano, il cosiddetto stalliere o fattore di Arcore e le ripetute definizione di "eroe" che gli sono state riservate ripetutamente da Dell'Utri.

 

04 dicembre 2009

REPUBBLICA

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2010-01-02

L'ergastolano non aveva risposto alle domande dell'accusa

lamentando problemi di salute per la durezza della detenzione

Mafia, tolto l'isolamento a Graviano

Il boss ancora sotto il regime del 41 bis

L'avvocato: "I magistrati hanno applicato la norma che stabilisce un tetto massimo

Cumulati i periodi trascorsi si è arrivati al tetto di 3 anni previsto"

Mafia, tolto l'isolamento a Graviano Il boss ancora sotto il regime del 41 bis

Una foto segnaletica di Giuseppe Graviano

PALERMO - Via il carcere duro al boss mafioso. Giuseppe Graviano, che sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera, ha ottenuto la revoca dell'isolamento diurno ma continua, comunque, a essere sottoposto al regime carcerario del 41 bis. La decisione, richiesta dal legale di Graviano, è della terza sezione della Corte d'Assise d'appello di Palermo ed è motivata con il superamento del tetto massimo dei tre anni previsto dalla legge, dato che il boss è in cella dal 27 gennaio del 1994 e che l'isolamento gli è stato dato più volte durante la sua reclusione. "I magistrati - dice l'avvocato Gaetamo Giacobbe - hanno applicato la norma che stabilisce un tetto massimo per il carcere duro. Cumulati i periodi di detenzione diurna trascorsi al 41 bis, si è arrivati al tetto di tre anni previsto dalla legge". Graviano sarebbe passato al regime di vita comune il 16 dicembre.

Lo scorso 11 dicembre, davanti ai giudici della Corte d'appello di Palermo che stanno giudicando il senatore Marcello Dell'Utri, Giuseppe Graviano - sentito insieme al fratello Filippo - aveva scelto di non parlare lamentando uno stato di salute precario, a suo dire provocato dai rigori del 41 bis. Tra i due fratelli, Giuseppe è quello seppellito da ergastoli e condanne. Filippo aveva invece parlato, smentendo la ricostruzione fatta da Spatuzza.

Dal carcere di Opera in videoconferenza, Giuseppe Graviano si era avvalso della facoltà di non rispondere "perché il mio stato di salute non mi consente di rispondere all'interrogatorio", aveva spiegato. Per poi chiedere che "il suo memoriale" fosse letto in aula, ma il presidente del Tribunale aveva negato l'autorizzazione. "(...) In anni 16 di detenzione - si legge nelle tre pagine scritte dal boss - ho espiato più di 10 anni di isolamento e la legge dà come tetto massimo anni 3(...) ancora continuo a rimanere con videosorveglianza anche di notte in camera e nel bagno(...) non mi consegnano nemmeno il vestiario per venire in questo processo(...) mio figlio di anni 12 chiede perché non ci possiamo scambiare baci e carezze(...) c'è un accanimento ingiustificato".

Poi aveva ricordato i disturbi alla tiroide, i mal di testa, le malattie delle pelle e annunciato: "Quando il mio stato di salute me lo permetterà, sarà mio dovere rispondere a tutte le domande che mi verranno poste". A causa dei problemi di salute non aveva quindi risposto alle domande dell'accusa sulla veridicità delle dichiarazioni rese dal pentito Gaspare Spatuzza, che aveva parlato di rapporti tra il senatore del Pdl e i due fratelli Graviano.

Durissima la reazione dell'associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. "E' scandaloso - si legge in una lettera inviata al ministro della Giustizia, Alfano - che in questo clima di buonismo a buon mercato a Graviano Giuseppe sia stato fatto un regalo di natale che gli ammorbidisce il 41 bis. Butti via le chiavi per il mafioso che ci ha rovinato la vita ammazzando i nostri figli e rendendone di invalidi alla mercé di organismi di stato tutt'altro che buoni, o chieda a Graviano Giuseppe di dirci, collaborando con la giustizia, la verità sulla morte dei nostri figli, quella che spavaldamente ha sempre negato in tribunale ricattando i governi".

L'articolo 41 bis. Inserito nella legge sull'ordinamento penitenziario del 26 luglio 1975 n. 354, il 41 bis è la particolare situazione cui sono sottoposti i boss detenuti, per impedire loro di avere contatti con l'esterno. Tra le imposizioni ai capi di Cosa Nostra il vetro blindato per parlare con i parenti, l'impossibilità di toccare i figli minorenni, la limitazione nelle visite e nei colloqui anche con gli avvocati, la censura sulla posta e limiti anche nei pacchi da e verso l'esterno. Il 41 bis è tra l'altro illimitato e non sottoposto al tetto massimo dei tre anni e prevede la possibilità per il Ministro della Giustizia di sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza o quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti (anche in attesa di giudizio) per reati di criminalità organizzata, terrorismo o eversione.

(1 gennaio 2010) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

 

 

Il fratello di Filippo Graviano, la mente stragista di Brancaccio,

non ha voluto deporre in aula. Ma con il suo fax ha lanciato un messaggio

Giuseppe Graviano, silenzio che parla

"Quando starò bene risponderò"

di ATTILIO BOLZONI

Giuseppe Graviano, silenzio che parla "Quando starò bene risponderò"

Una foto segnaletica di Giuseppe Graviano

PALERMO - Chi parla tace. E chi tace parla. Sono le voci che vengono da Brancaccio. È la trama dei "Graviano & Graviano", il fratello buono e il fratello cattivo, il molle e il duro, la coppia più mafiosa di Palermo che gioca l'ultima spericolata mano intorno al senatore Marcello Dell'Utri. Dicono e non dicono, conoscono e non conoscono, ricordano e non ricordano. A volte alludono, a volte minacciano. Più con il silenzio che con le parole.

È la più sofisticata rappresentazione mafiosa andata in scena negli ultimi anni, un gioco di specchi, la dissociazione morbida di Filippo e il castigo del 41 bis che sopporta Giuseppe, il primo che parla del suo "percorso di legalità" e smentisce di avere mai incontrato il senatore, l'altro che fa l'irriducibile ma intanto fa capire che prima o poi se la potrebbe "cantare". Una mossa e l'altra mossa, l'incastro con "il fraterno amico" Gaspare Spatuzza "che ha fatto le sue scelte", un labirinto siciliano, una tela di ragno.

Forse c'è da ripassare qualcosa nel racconto fatto fino ad ora sui fratelli Graviano di via Conte Federico, la strada della morte, un budello di poche decine di metri dove - fra la primavera del 1981 e l'autunno del 1983 - in cento ne morirono "sparati". Forse c'è da vederli ancora più da vicino questi due fratelli che avevano scelto Milano per la loro latitanza, lontani da Palermo, lontanissimi da Brancaccio e dal loro esercito di sicari che li adoravano come degli dei e Giuseppe lo chiamavano Madre Natura.

Il buono e il cattivo, Filippo e Giuseppe. La mente finanziaria e la mente stragista. Quello che "è cambiato" e quell'altro che non cambierà mai. Fratelli. Fratelli di sangue e fratelli nella guerra che hanno combattuto sino alla fine al fianco di Totò Riina senza avere mai avuto un solo dubbio (li avevano perfino quei macellai dei Ganci della Noce e Totò Cancemi di Porta Nuova, i più fedeli ai Corleonesi) o un solo rimorso.

Cominciamo dal primo, da quello che "da circa dieci anni ho messo al primo posto nella mia scala di valori il rispetto delle regole e delle istituzioni". Gli piace definirsi un danneggiato collaterale, uno che ha pagato il conto per colpa dell'altro, suo fratello. Ricostruisce in poche parole la sua storia con la giustizia: "Mi hanno arrestato nel gennaio del 1994, avrei dovuto scontare soltanto una pena di quattro mesi ma, tre giorni prima della mia scarcerazione, mi sono arrivati addosso tutti gli ordini di cattura". Tutte le stragi. Capaci. Via D'Amelio. Quelle di Firenze e di Roma e di Milano. Lui, che i pentiti l'hanno lasciato sempre quasi ai margini. Lui, che aveva solo l'ossessione degli affari.

Lui, che voleva fare solo soldi. Filippo data ancora con più precisione i giorni della sua trasformazione umana, "fra il 2002 e il 2003 quando ho inviato una lettera al procuratore Sergio Lari, perché sentivo il dovere civico di mettermi a disposizione". Parla ancora di regole e di legalità, però avverte: "Non ho mai cercato scorciatoie per ottenere chissà cosa dai magistrati". Dice che non si è voluto mai pentire. Probabilmente Filippo Graviano non si pentirà mai. Non vuole farlo e non ha interesse a farlo. Aspetta. Spera in un futuro migliore. Spera in Gaspare Spatuzza che non l'ha trascinato nelle stragi, spera in altri come Spatuzza che magari arriveranno ancora. Spera nella revisione del processo per l'uccisione di Paolo Borsellino. E, a cascata, in tutti gli altri processi. Vede una luce il danneggiato collaterale, non ha bisogno di accusare nessuno Filippo Graviano. E smentisce tutto ciò che può smentire: "Non conosco Marcello Dell'Utri. Non ho avuto contatti né diretti né indiretti con Marcello Dell'Utri". Dice ancora: "Per le mie scelte decido io: non decide né Spatuzza né mio fratello Giuseppe". Filippo Graviano oggi è un mafioso che si ritrova in una posizione di privilegio. Filippo Graviano è in attesa degli eventi, pronto a sfruttare tutto quello che "giudiziariamente" gli può venire incontro.

E' il fratello cattivo che è alle corde, seppellito da ergastoli dai quali difficilmente si potrà mai liberare. Giuseppe Graviano non parla "perché il mio stato di salute non mi consente di rispondere all'interrogatorio". Però fa sapere: "Quando potrò informerò la Corte". E' il messaggio. E' il silenzio che diffonde la minaccia e la paura. Come quell'altro messaggio che aveva voluto lanciare ai magistrati di Firenze, che lo interrogavano sulle stragi: "Io sono disposto a parlare... io sono disposto a fare confronti... se noi dobbiamo scoprire la verità io posso dare una mano d'aiuto. Io dico che uscirà fuori la verità delle cose. Trovate i veri colpevoli. Si parla sempre di colletti bianchi, colletti grigi, colletti... e sono sempre innocenti questi... ve la faccio dire io da chi sa la verità".

Giuseppe Graviano, dal carcere di Opera in videoconferenza, "si avvale della facoltà di non rispondere". Ma si racconta in tre pagine che consegna alla corte, via fax. Chiede che "il suo memoriale" venga letto in aula, il presidente del Tribunale nega l'autorizzazione. Sono tre pagine sul carcere duro, solo sul carcere duro: "... In anni 16 di detenzione ho espiato più di 10 anni di isolamento e la legge dà come tetto massimo anni 3... ancora continuo a rimanere con videosorveglianza anche di notte in camera e nel bagno... non mi consegnano nemmeno il vestiario per venire in questo processo... mio figlio di anni 12 chiede perché non ci possiamo scambiare baci e carezze... c'è un accanimento ingiustificato". Poi ricorda i disturbi alla tiroide, i mal di testa, le malattie delle pelle.

L'annuncio alla fine: "Quando il mio stato di salute me lo permetterà, sarà mio dovere rispondere a tutte le domande che mi verranno poste". E' il suo proclama contro il 41 bis. E' la sua deposizione. Quella che non ha voluto fare a voce. Giuseppe Graviano ha detto di più, molto di più di suo fratello Filippo. Sono voci che vengono da Brancaccio, Palermo.

© Riproduzione riservata (12 dicembre 2009)

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2010-01-02

Mafia, tolto solo isolamento diurno a boss Graviano

Il boss palermitano Giuseppe Graviano, che sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera, a Milano, ha avuto tolto, su richiesta del suo legale, solo l'isolamento diurno e non l'uscita dal regime del 41 bis. "I magistrati - dice l'avvocato Gaetamo Giacobbe - hanno applicato la norma che stabilisce un tetto massimo per il carcere duro. Cumulati i periodi di detenzione diurna trascorsi al 41 bis, si è arrivati al tetto di tre anni previsto dalla legge". Graviano sarebbe passato al regime di vita comune il 16 dicembre scorso. Lo scorso 11 dicembre, davanti ai giudici della Corte d'appello di Palermo che stanno giudicando il senatore Marcello Dell'Utri, Giuseppe Graviano - sentito insieme al fratello Filippo - aveva lamentato uno stato di salute precario, a suo dire provocato dai rigori del 41 bis. A causa dei problemi di salute non aveva risposto alle domande dell'accusa sulla veridicità delle dichiarazioni rese dal pentito Gaspare Spatuzza, che aveva parlato di rapporti tra il senatore e i due fratelli Graviano. L'ergastolano aveva spiegato che la sua decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere poteva essere rivista qualora le sue condizioni di salute fossero migliorate, lasciando intendere che questo sarebbe dipeso dal miglioramento del suo regime carcerario. Filippo Graviano, invece, aveva smentito la ricostruzione fatta da Spatuzza.

Durissima la reazione dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. "È scandaloso - si legge in una lettera inviata al ministro della Giustizia Alfano - che in questo clima di buonismo a buon mercato a Graviano Giuseppe sia stato fatto un regalo di Natale che gli ammorbidisce il 41 bis. Butti via le chiavi per il mafioso che ci ha rovinato la vita ammazzando i nostri figli e rendendone di invalidi alla mercè di organismi di Stato tutt'altro che buoni, o chieda a Graviano Giuseppe di dirci, collaborando con la giustizia, la verità sulla morte dei nostri figli, quella che spavaldamente ha sempre negato in Tribunale ricattando i Governi". "Il Tribunale di sorveglianza di Palermo - scrive l'associazione - rifletta sul massacro di via dei Georgofili e ci spieghi bene perchè Giuseppe Graviano deve tornare a socializzare, non lo abbiamo capito e siamo infuriati davanti a tanta cattiveria che ci perseguita, quali fossimo noi i colpevoli... Siamo pronti a mettere le tende con striscioni di protesta in via dei Georgofili quanto prima e diremo con tutte le nostre forze , se sarà necessario, al mondo intero come sono trattate le vittime del terrorismo mafioso in Italia e come sono premiati i mafiosi terroristi". "Signor ministro dell'Interno - conclude la missiva rivolgendosi a Maroni - è sicuro che i falsi attentati sparsi in giro in questi giorni natalizi non fossero il ricatto della mafia per l'annullamento del 41 bis? Noi no".

01 gennaio 2010

il SOLE 24 ORE

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2010-01-02

Mafia, revocato l'isolamento al boss Giuseppe Graviano

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1 gennaio 2010

Giuseppe Graviano (Ansa)

Al processo Dell'Utri i boss

smentiscono il pentito Spatuzza

"Dai nostri archivi"

Mafia, depone Spatuzza e cita Silvio Berlusconi

Mafia, depone Spatuzza e cita Silvio Berlusconi

Arrestati i "postini" di Provenzano

Al processo Dell'Utri i boss smentiscono il pentito Spatuzza

Mafia: così abbiamo preso il boss di Palermo Nicchi

Il boss palermitano Giuseppe Graviano, 48 anni, che sta scontando l'ergastolo nel carcere di Opera, come organizzatore delle stragi del '93 a Roma, Firenze e Milano, ha avuto riconosciuta, su richiesta del suo legale, la revoca dell'isolamento diurno. Graviano continua, comunque, a essere sottoposto al regime carcerario del 41 bis.

La decisione è della terza sezione della Corte d'assise d'appello di Palermo ed è motivata con il superamento del tetto massimo dei tre anni previsto dalla legge, dato che il boss è in cella dal 27 gennaio del 1994 e che l'isolamento gli è stato dato più volte durante la sua reclusione. Graviano continua ad essere regolarmente sottoposto al regime di carcere duro del 41 bis, che è cosa ben diversa dall'isolamento diurno, previsto per chiunque abbia condanne all'ergastolo (anche se non legate a fatti di mafia) e che vieta solo di avere contatti con altri detenuti durante il giorno. Il cosiddetto 41 bis è invece la particolare situazione cui sono sottoposti i boss detenuti, per impedire loro di avere contatti con l'esterno. Tra le imposizioni ai capi di Cosa Nostra il vetro blindato per parlare con i parenti, l'impossibilità di toccare i figli minorenni, la limitazione nelle visite e nei colloqui anche con gli avvocati, la censura sulla posta e limiti anche nei pacchi da e verso l'esterno. Il 41 bis è tra l'altro illimitato e non sottoposto al tetto massimo dei tre anni. Con la revoca dell'isolamento diurno Graviano potrà fare la cosiddetta socializzazione e non restare da solo di giorno. L'udienza per la revoca si era tenuta il 16 dicembre e la decisione del collegio presieduto da Adalberto Battaglia, a latere Alfredo Montalto, era stata presa subito dopo Natale.

L'11 dicembre scorso il boss durante il processo dell'Utri a Palermo, dove il fratelloFilippo aveva smentito le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, aveva inviato una lettera alla corte letta in aula in cui metteva sotto accusa il regime di 41bis: "Le mie condizioni di salute non mi permettono di parlare, quando me lo permetteranno parlerò". Il messaggio era preciso: allentatemi le condizioni carcerarie e potrei anche dire alcune cose.

Dura la reazione di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili secondo la quale:"Giuseppe Graviano non ha diritto per quello che ci riguarda, a nessuno sconto né di giorno né di notte. Comprendiamo bene che il tribunale di sorveglianza ha applicato le leggi, che durante questi sedici anni troppo spesso sono andate in una sola direzione, in favore della mafia terrorista, e oggi se ne vedono i risultati".

Fabio Granata, vice presidente della commissione antimafia, ha inviato un appello al ministro della Giustizia per "accertare le procedure di revoca dell'isolamento diurno al boss Graviano per dare una risposta trasparente da parte dello Stato alla sacrosanta indignazione dei parenti delle vittime delle stragi".

1 gennaio 2010

 

 

 

 

 

Al processo Dell'Utri i boss

smentiscono il pentito Spatuzza

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11 dicembre 2009

"Dai nostri archivi"

Minzolini: "Le balle di Spatuzza danneggiano l'Italia"

Mafia, depone Spatuzza e cita Silvio Berlusconi

Mafia, depone Spatuzza e cita Silvio Berlusconi

A Torino la "bomba" Spatuzza

Spatuzza: l'avvocato Li Gotti: attesa esagerata

"Non ho mai detto a Spatuzza di attendermi aiuti". Così il boss Filippo Graviano rispondendo in videoconferenza ai giudici durante la sua deposizione nel processo a Marcello Dell'Utri, smentisce le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che aveva sostenuto: "Se non arriva niente da dove deve arrivare, allora é il caso che incominciamo a parlare con i pm".

"Non ho mai conosciuto il senatore Dell'Utri nè direttamente nè indirettamente e quindi non ho mai avuto rapporti con lui" ha detto il boss Filippo Graviano al termine della sua deposizione rispondendo a una domanda della Corte d'Appello di Palermo. "Nel '94 (periodo in cui, secondo Spatuzza, i Graviano avrebbero avuto assicurazioni da settori della politica ndr) - ha aggiunto Filippo Graviano - non c'era nessuno che doveva farmi promesse, perchè io all'epoca dovevo scontare solo quattro mesi di carcere. Perchè avrei dovuto chiedere aiuto?". "E poi - ha proseguito il boss - il discorso con Spatuzza sarebbe avvenuto nel 2004. Da allora sono passati cinque anni, se avessi voluto consumare una vendetta lo avrei già fatto. Ma queste cose mi sono estranee".

Le dichiarazioni del pentito Spatuzza vengono smentite anche da altri esponenti di Cosa Nostra come il boss Cosimo Lo Nigro. "Non sono mai stato a Campofelice di Roccella e i Graviano li ho conosciuti solo in carcere". Lo Nigro ha smentito, dunque, quanto riferito dal pentito Gaspare Spatuzza che ha raccontato di avere partecipato, alla fine del '93, a un incontro con Giuseppe Graviano e Cosimo Lo Nigro nel corso del quale il capomafia di Brancaccio gli avrebbe detto che era necessario fare l'attentato contro i carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma "così chi si deve dare una mossa, se la dà". Frase che il pentito interpretò come riferita a una trattativa in corso tra la mafia e una parte della politica che, proprio un nuovo eccidio, avrebbe dovuto accelerare.

Fini: la deposizione di Graviano dimostra che occorre aver fiducia nella magistratura

Sulla vicenda è intervenuto anche Gianfranco Fini, presidente della Camera: "La deposizione di Graviano dimostra che occorre avere fiducia nella volontà e nella capacità della magistratura di accertare la verità".

11 dicembre 2009

FAMIGLIA CRISTIANA

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